Qual ‘è la tassazione delle criptovalute oggi in Italia? Scopri tutto quello che c’è da sapere per il calcolo delle aliquote per la dichiarazione dei redditi.

Tassazione criptovalute in Italia: Guida Definitiva e Novità 2024/2025 aggiornato all’approvazione della nuova legge di bilancio

AGGIORNAMENTO 12/2024

È stato ridotto l’aumento della tassazione sulle criptovalute. Un emendamento approvato dalla commissione Bilancio ha stabilito che l’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi derivanti dalle criptovalute rimarrà al 26% nel 2025 e salirà al 33% nel 2026, rispetto al previsto incremento al 42% inizialmente proposto dal governo.

La Legge di Bilancio 2023 ha regolarizzato la tassazione delle criptovalute con diverse novità sia per le persone fisiche, sia per le imprese.

  • L’aliquota fiscale sulle valute digitali è pari al 26% delle plusvalenze, se i redditi prodotti non rientrano tra quelli di un’attività di impresa, arte o professione o di lavoro dipendente.

  • Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate ha reso noti i codici tributo da utilizzare per il versamento della tassa sostitutiva all’imposta di bollo con F24.

Nel 2022 in Italia l’accesso alle criptovalute ha subito un incremento, con 14 milioni di Italiani che hanno utilizzato almeno una volta in un anno le valute digitali1, come forma di investimento o per l’acquisto di prodotti o servizi.

Tuttavia, se da un lato la loro diffusione è qualcosa di certo, dall’altro in Italia vi erano ampi vuoti legislativi, soprattutto per ciò che concerneva la definizione e la tassazione sulle criptovalute.

Infatti, fino alla Legge di Bilancio 2023/2024, l’ambito fiscale era regolato non da una normativa di base, ma dalle direttive indicate dall’Agenzia delle Entrate attraverso gli interpelli: qualcosa che ha generato un po’ di confusione.

Tassazione criptovalute: la circolare dell’Agenzia delle Entrate ancora in vigore.

Questi i punti fondamentali che affrontiamo in questo articolo:

  • Tassazione criptovalute in Italia: novità 2024

  • Tassazione criptovalute: il calcolo delle plusvalenze

  • Criptovalute e dichiarazione dei redditi

  • Tassazione criptovalute e monitoraggio fiscale: Quadro RW

  • Tassazione delle valute digitali nel bilancio aziendale

  • Mancata dichiarazione delle criptovalute: la sanatoria

  • E’ possibile pignorare le cryptovalute?

L’Agenzia delle Entrate con la circolare 30/2023 del 27 ottobre 2023 2, aveva proposto dei chiarimenti in merito alle regole di tassazione sulle criptovalute. Le indicazioni tengono in considerazione le norme introdotte con la Legge di Bilancio 2023, specificando alcuni aspetti.

In particolare, viene chiarito che le plusvalenze generate dalle criptovalute vengono tassate al 26%, ma questo solo se non rientrano tra i redditi derivati da un’attività di impresa, arte o professione o tra quelli da lavoro dipendente.

Le cripto attività vengono quindi equiparate a strumenti finanziari. Come vedremo tra poco, la Legge di Bilancio 2023 aveva dato infatti una chiara definizione delle valute virtuali.

La circolare specifica anche che il 15 novembre 2023 era scaduto il versamento dell’intero importo, o della prima rata, per coloro che detenevano cripto attività al 1 gennaio 2023, con imposta sostitutiva al 14% per la rideterminazione del costo o valore di acquisto: è stata data la possibilità di regolarizzare la propria situazione precedente all’entrata in vigore delle nuove disposizioni.

La circolare ha offerto un ulteriore chiarimento: anche i redditi che vengono realizzati da soggetti che non sono residenti sono soggetti a tassazione, se sono di provenienza di attività detenute in Italia, ovvero per cui i prestatori di servizi sono residenti nel paese.

Importante precisazione prima di proseguire:

un aspetto significativo è che le cryptovalute non sono soggette a un ente governativo, e non vengono stampati. La loro nascita è collegata al mining, un processo digitale che avviene in rete in maniera indipendente.

Inoltre, non sono sottoposti ai tassi l’interesse. La loro decentralizzazione le porta ad essere delle valute difficilmente tracciabili, e questo ha determinato fin da subito una serie di difficoltà per la tassazione.

Infatti, per acquistare o vendere una valuta FIAT ci si dove rivolgere necessariamente ad una banca. Ciò comporta che le transazioni vengono tracciate in maniera precisa, e su ogni attività si applicano una commissione e una tassazione.

Oggi l’evoluzione digitale e la nascita degli exchange hanno portato a detenere queste monete digitali al di fuori dei conti correnti, e quindi senza che l’Agenzia delle Entrate ne abbia conoscenza.

Più avanti affronteremo questo argomento nei dettagli

Tassazione criptovalute in Italia: novità 2024

Nel 2023 sono stati chiariti alcuni aspetti sulle criptovalute, a partire dalla definizione di cripto-attività. Vengono identificate come la rappresentazione digitale di un valore, determinato attraverso una procedura elettronica e una tecnologia specifica.

Quindi si vanno ad includere quegli strumenti digitali che possono essere trasferiti e conservati all’interno di un wallet digitale e che prevedono uno scambio attraverso la tecnologia della blockchain.

Inoltre, potrai acquistarle, venderle, investire e scambiarle attraverso un’apposita piattaforma di intermediazione chiamata exchange. Tra le principali novità vi sono quelle di natura fiscale, con una regolamentazione riguardante:

  • il calcolo delle plusvalenze sulle criptovalute;

  • il monitoraggio fiscale;

  • la collocazione delle criptovalute nel bilancio aziendale;

  • l’introduzione dell’istituto della sanatoria delle criptovalute.

Per il 2024 vengono messi a disposizione, come conferma la risoluzione n.10/E del 6 febbraio 2024 dell’Agenzia delle Entrate3, i codici tributo che i contribuenti devono utilizzare tramite F24 per il pagamento della tassa sostitutiva all’imposta di bollo, sui rapporti che hanno ad oggetto le criptovalute:

  • codice tributo 1728: “Imposta sostitutiva dell’imposta di bollo sui rapporti aventi ad oggetto le cripto-attività – Acconto I rata”;

  • codice tributo 1729: “Imposta sostitutiva dell’imposta di bollo sui rapporti aventi ad oggetto le cripto-attività – Acconto II rata”;

  • codice tributo 1727: “Imposta sostitutiva dell’imposta di bollo sui rapporti aventi ad oggetto le cripto-attività – Saldo.

Tassazione criptovalute: il calcolo delle plusvalenze

Il primo aspetto da considerare fiscalmente è la tassazione sulle plusvalenze collegate alle criptovalute. Infatti, la Legge di Bilancio 2023 ha fatto rientrare le valute digitali tra quegli strumenti finanziari che producono redditi diversi.

Quindi, si applicherà un’imposta sostitutiva, nel momento in cui si genera un capital gain, ovvero un guadagno, calcolato come differenziale tra le plusvalenze e le minusvalenze. Quindi, il semplice possesso delle crypto non determinata la tassazione, ma si andranno a considerare solo quelle che vengono definite le operazioni fiscalmente rilevanti, ovvero:

  • conversione delle criptovalute in monete FIAT (vendita);

  • acquisto di un bene o un servizio attraverso le monete digitali;

  • utilizzo delle criptovalute per l’acquisto di NFT.

Sono escluse dal calcolo delle plusvalenze le attività di permuta, ovvero il cambio di criptovalute in altre criptovalute e i guadagni derivanti dallo staking, che dovranno essere inseriti tra le attività di reddito da capitale.

La principale novità stabilita dalla Legge di Bilancio 2023 è quella di una soglia di esenzione pari a 2.000€ per l’anno di imposta di riferimento, che va a creare una deroga rispetto all’art 67 comma 1 del TUIR. In base a quanto era stabilito prima, le plusvalenze erano soggette a tassazione solo nel momento in cui si superava la soglia dei 51.545,69€, anche se per soli 7 giorni in un anno di imposta.  

In questo modo si è voluto assoggettare a tassazione la maggior parte della attività di trading sulle criptovalute, oltre ad evitare di sottoporre ad aliquota fiscale redditi non rilevanti. Quindi, se ottieni una plusvalenza al di sotto dei 2.000€, questa non sarà sottoposta a tassazione, mentre al di sopra di questo valore dovrai applicare la relativa imposta.

Tassazione delle plusvalenze

In quanto redditi diversi, i guadagni ottenuti dalle attività crypto, considerati fiscalmente rilevanti, saranno sottoposti a un’imposta sostitutiva pari al 26%. Tale aliquota è applicata in modo diverso a seconda della tipologia di regime fiscale adottato, tra:

  • regime amministrato: l’intermediario svolge la funzione di sostituto d’imposta;

  • regime dichiarativo: devi inserire in modo autonomo il capital gain ottenuto nel Modello Redditi PF.

Infatti, con il regime amministrato, si applica la ritenuta al momento della vendita o cessione a titolo oneroso, eseguita direttamente dall’intermediario finanziario che svolge la funzione di sostituto d’imposta.

Quindi se cambi criptovalute in moneta FIAT, sul valore ottenuto verrà calcolata l’imposta e quindi otterrai il controvalore al netto delle tasse. In assenza di specifiche previste dalla nuova Legge di Bilancio, la determinazione della plusvalenza sarà fatta con il metodo LIFO (Left In First Out) in base al quale vengono considerate cedute per prime le valute acquistate più di recente.

Invece, il sistema dichiarativo si applica per quegli exchange o altre piattaforme di brokeraggio che non svolgono funzioni di sostituto d’imposta. Quindi, dovrai operare in autonomia e calcolare le plusvalenze e le minusvalenze da inserire all’interno del Modello Redditi PF.

Criptovalute e dichiarazione dei redditi

I redditi diversi collegati ad attività di valute estere, nel regime amministrato non prevedono altre forme di comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Quindi, non dovrai inserirle nella dichiarazione dei redditi.  Invece, con il sistema dichiarativo, dovrai indicare, nel Quadro RT del Modello Redditi PF:

  • la plusvalenza ottenuta: in base al valore complessivo delle valute vendute;

  • la minusvalenza: con riferimento al valore delle criptomonete acquistate.

L’importo soggetto a tassazione è il valore della criptovaluta calcolato al momento del cambio in euro. Un calcolo non sempre semplice, soprattutto se gli acquisti sono avvenuti diversi anni prima, ma anche a causa dell’alta volatilità di questi strumenti finanziari. Per questo, se il prezzo non può essere determinato, puoi prendere come riferimento il bonifico ottenuto dell’exchange.

Tuttavia, anche in questo caso non sempre ciò è passibile. Si prenda l’esempio di piattaforme chiuse. La normativa ha permesso di semplificare questo processo. Per l’anno scorso era possibile prendere come riferimento il valore delle cripto al 1° gennaio 2023. In questo caso non si è applicata un’imposta sostitutiva del 26%, ma è presente un’agevolazione, che la riduce al 14%.

Nella situazione in cui non hai ottenuto plusvalenze, ma solo minusvalenze, non vi è l’obbligo di compilazione del Quadro RT. Tuttavia, potrebbe essere utile inserire comunque il valore in negativo realizzato, dato che le minusvalenze possono essere utilizzate per:

  • compensare i guadagni in caso di superamento della soglia dei 2.000€ nei prossimi quattro anni;

  • impiegarle per compensare il capital gain generato da altre tipologie di strumenti finanziari che producono redditi diversi.

Tassazione e staking

Le criptovalute sono strumenti in continua evoluzione e che possono essere utilizzati anche per generare altre forme di redditi, come per lo staking. In questo caso l’attenzione del legislatore è posta al semplice possesso di una valuta digitale che permette di ottenere un guadagno certo e predeterminato. Un qualcosa, per certi aspetti, di molto simile ai dividendi per le azioni delle società. Chiariamo questo aspetto.

Lo staking è un processo in base al quale manterrai delle criptovalute bloccate su un wallet digitale. Queste verranno utilizzate per velocizzare le operazioni sulla blockchain oppure per altre attività, come i prestiti crypto.

In cambio otterrai un rendimento fisso e proporzionato al numero di crypto bloccate e alla tempistica. Il capital gain generato dal punto di vista fiscale viene considerato come reddito da capitale.

In quanto tale, come precisato dalla direttiva dell’Agenzia delle Entrate n.433 del 24 agosto e la n. 437 del 26 agosto 2022, si applicherà una ritenuta d’acconto del 26% se le attività sono riconducibili a un intermediario italiano.

Invece, per un broker straniero e regime fiscale dichiarativo, i proventi da staking rientrano nel Quadro RL della dichiarazione dei redditi e andranno a far cumulo con il reddito imponibile e nel calcolo degli scaglioni IRPEF, applicando un’aliquota dal 23% al 43%. In questo modo viene regolamentata la tassazione dello staking delle criptovalute.

Tassazione degli investimenti crypto tramite ETF

Un altro chiarimento necessario riguarda l’investimento in ETF cripto, che sono inclusi negli ETN (Exchange Traded Notes), ovvero fondi di investimento indicizzati che permettono di investire su strumenti come criptovalute e derivati.

Quindi si considerano quegli Exchange Traded Funds, che vanno a replicare un paniere di titoli composto solo da monete digitali. In questo caso, si applica la tassazione delle criptovalute? La risposta è negativa. Dovrai considerare le regole che riguardano le aliquote fiscali collegate agli ETF:

  • ETF armonizzati, ovvero riconosciuti sulle borse europee, l’aliquota sarà del 26%;

  • ETF non armonizzati, scambiati su mercati diversi da quelli riconosciuti, la tassazione prevede anche una tassazione in base agli scaglioni IRPEF.

Tassazione criptovalute e monitoraggio fiscale: Quadro RW

Dal punto di vista del monitoraggio fiscale rimane la regola in base alla quale devi inserire le criptovalute all’interno del Quadro RW della dichiarazione dei redditi nel regime dichiarativo, in quanto strumenti finanziari detenuti all’estero. Ciò è necessario anche ai fini del calcolo dell’IVAFE.

Il monitoraggio segue i medesimi principi dei conti esteri, in base ai quali, dal 2023 devi compilare il Quadro RW solo se le criptomonete vengono detenute in un wallet digitale presente fuori dall’Italia o se sono archiviate su chiavette o PC.

Non si richiede per i broker che svolgono la funzione di sostituto d’imposta. Ai fini del calcolo dell’IVAFE dovrai inserire il valore di costo della criptovaluta con riferimento al 31 dicembre dell’anno di imposta ed esprimerlo in euro, con un’imposta sostituiva massima pari a 14.000€.

Tassazione delle valute digitali nel bilancio aziendale

La Legge di Bilancio 2023 ha previsto dei chiarimenti necessari anche ai fini della tassazione delle criptovalute per le società. Di seguito andiamo ad analizzare sinteticamente quali sono gli aspetti principali da considerare per le criptovalute nel bilancio aziendale.

L’art 32 ha definito alcuni aspetti con riferimento alla classificazione delle monete digitali e alla loro contabilizzazione. Infatti, i Bitcoin e gli altri Altcoin sono considerati come beni immateriali e come tali devono essere inseriti nel conto economico della società tra le immobilizzazioni immateriali, ad eccezione di un utilizzo per la contabilità ordinaria e straordinaria dell’azienda.

Si prenda il caso di vendita delle valute digitali o di acquisto di materiali o fatture attraverso le crypto. Dal punto di vista fiscale, è stato chiarito quando le criptovalute vanno a formare reddito d’impresa ai fini IRES o IRAP. Ciò avviene solo nel momento in cui si effettua una delle seguenti attività:

  • vendita delle valute in moneta FIAT;

  • trasformazione in altri beni;

  • acquisti di NFT;

  • utilizzo delle crypto nello staking.

Se non si rientra in queste categorie, la presenza delle crypto nel bilancio aziendale non andrà a cumularsi con i redditi d’impresa e quindi non si dovrà applicare un’aliquota fiscale.

Mancata dichiarazione delle criptovalute: la sanatoria

La mancata dichiarazione delle criptovalute, ai fini del monitoraggio fiscale o dal punto di vista della dichiarazione dei redditi, in quanto strumenti finanziari detenuti all’estero, è soggetta a sanzioni.

Tuttavia, la Legge di Bilancio 2023 ha previsto un sistema di sanatoria, finalizzato a regolarizzare la posizione nei confronti del fisco. Infatti, potevi avvalerti dell’istanza di emersione per tutte quelle attività collegate alle cripto eseguite entro il 31/12/2021. Grazie ad essa è stato possibile sanare:

  • attività di criptovalute che non hanno generato reddito;

  • una posizione che ha previsto una plusvalenza non dichiarata.

Pignoramento criptovalute 2024, è possibile pignorare le cryptovalute?

Dipende. Ecco cosa fare per blindare il proprio wallet

Può un creditore sottoporre ad esecuzione forzata un conto virtuale contenente criptovalute?

In linea generale, ogni creditore può soddisfare le proprie ragioni creditorie sul patrimonio del debitore.

Più nello specifico, il creditore (sempre) munito di un titolo esecutivo, può dare corso all’espropriazione forzata con l’atto di pignoramento presso terzi. Per intenderci il creditore, in forza di una sentenza o di un atto equipollente, può trovare soddisfazione delle proprie pretese di credito mediante il pignoramento del conto corrente o dello stipendio del debitore. In altre parole, con la notifica allo stesso debitore e al terzo pignorato (banca o datore di lavoro), il creditore - per il tramite dell’Ufficiale Giudiziario - appone una sorta di vincolo (in suo favore) sulle somme dovute dall’istituto di credito o dal datore di lavoro al debitore.

Tali somme, infatti, dovranno essere trattenute dai terzi e, successivamente - in forza di un ulteriore provvedimento del Giudice dell’Esecuzione -, versate al creditore proprio in forza del titolo esecutivo.
E con i bitcoin? È possibile ricorrere al meccanismo del pignoramento presso terzi anche nei casi di moneta virtuale?
Ma facciamo un passo indietro.
I bitcoin sono la forma più utilizzata di moneta virtuale o di criptovaluta.
Sono quindi un mezzo di pagamento caratterizzato dal fatto di essere immateriale; inoltre, non hanno corso legale: valgono soltanto se chi li riceve li accetta come forma di pagamento, non essendo “riconosciuti” dallo Stato.

Essendo immateriali, per il loro utilizzo è necessario aprire un conto di deposito virtuale (wallet) mediante apposite piattaforme on line. Tali piattaforme funzionano come dei propri e veri “cambio valuta”: a fronte del versamento di moneta avente corso legale (Euro o altra valuta), è possibile acquistare (o convertire) tali somme in criptovalute (bitcoin).
Tali criptovalute, poi, verranno utilizzate per effettuare pagamenti verso altri soggetti disposti ad accettare tale valuta virtuale.

È dunque possibile procedere al pignoramento dei bitcoin?
In linea teorica, la risposta è sì.
Nulla vieta, infatti, che la moneta virtuale e, più in generale, il wallet sia sottoponibile al “meccanismo” del pignoramento presso terzi, così come previsto dall’art. 543 del c.p.c..

Ma la pratica è ben diversa.
Ora, quando si crea un wallet, viene generata dal servizio prescelto una stringa alfanumerica, che viene definita chiave privata e che serve per “operare” sullo stesso. Da questa, tramite un algoritmo, si ricava, poi, una seconda stringa alfanumerica, che viene definita chiave pubblica e che identifica il wallet. Tale processo è univoco, nel senso che da una chiave pubblica non è possibile ricavarne una privata.
Quindi, in realtà, in un wallet non sono propriamente contenute delle criptovalute, ma esse sono costituite da dati scritti solo nella blockchain; tramite la propria chiave privata, poi, sarà possibile recuperare dalla stessa blockchain i propri fondi e disporne come si desidera.

A questo punto, però, occorre fare una precisazione. I wallet si distinguono, infatti, in custodial e non-custodial. Con i primi, il proprietario delle criptovalute delega la custodia della propria chiave privata d’accesso a società terze (wallet Exchange); con i secondi, al contrario, la chiave privata d’accesso è in possesso solamente del proprietario dei bitcoin.

E la differenza non è di poco conto.
Custodire in prima persona la propria chiave privata d’accesso (wallet non-custodial), ovvero essere l’unica persona in grado di accedere al proprio conto virtuale, rende la pignorabilità dei bitcoin pressoché infattibile: di fatto, senza il suo consenso sarà impossibile dare corso all’espropriazione forzata.

Al contrario, per i wallet Exchange, dove non è il proprietario a custodire la chiave privata d’accesso (è in possesso di una semplice password), ma tale responsabilità è delegata proprio a società terze, il pignoramento potrebbe essere più proficuo, tenuto comunque conto che tali società di diritto privato - iscritte nei pubblici registri - sono soggette alla Legge del paese d’appartenenza.

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